È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede

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Figliol Prodigo

Una volta figlio, per sempre figlio

Il Ritorno del Figliol Prodigo di Rembrandt, che raffigura l’abbraccio del padre al figlio ribelle. Lo stato pietoso in cui si trova figlio non vanifica il suo stato di figlio né l’amore del padre, illustrando il legame duraturo tra Dio e i Suoi figli. 

Per molti lettori, la parabola del figliol prodigo evoca una drammatica scena di conversione, un non credente che tocca il fondo e infine “arriva a Gesù”. Innumerevoli appelli all’altare sono stati costruiti attorno a questa amata storia. Eppure, ironicamente, la parabola non riguarda affatto come un non credente diventi figlio di Dio; riguarda un figlio traviato, già in famiglia, che rompe la comunione e in seguito viene ristabilito. Se correttamente interpretato, il viaggio del figliol prodigo afferma con forza la dottrina della sicurezza eterna, dimostrando che una volta che si è veramente figli del Padre, tale status non è mai in pericolo.

Ravvedimento e Regno: perché Israele è ancora importante

Ho scritto e discusso questo punto diverse volte in passato e, per me, non serve altro che un’attenta lettura di Matteo 24 per capire che la seconda venuta di Gesù è un evento giudeocentrico. È Gerusalemme che Egli piange. È a Sion che ritorna. Ed è il ravvedimento nazionale di Israele a fungere da cardine della storia della redenzione.

Ciononostante, vorrei commentare qui un prezioso articolo di Michael J. Vlach intitolato Israel’s Repentance and the Kingdom of God (MSJ 27/1, primavera 2016). Sebbene Vlach e io potremmo non essere d’accordo su tutto—lui è riformato nella sua soteriologia, mentre io sostengo la teologia della Grazia Gratuita—il suo lavoro su Israele e l’escatologia è solido, equilibrato e ben documentato. Questo articolo, in particolare, evidenzia ciò che molti sembrano trascurare: il modello profetico che collega il ravvedimento nazionale di Israele con l’avvento del regno e il ritorno del Messia.

2 Corinzi 13:5

Comprendere 2 Corinzi 13:5

Esaminatevi per vedere se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete che Gesù Cristo è in voi? A meno che l’esito della prova sia negativo. — 2 Corinzi 13:5

Questo versetto è spesso citato come testo di prova per promuovere l’introspezione come requisito per la certezza della salvezza. I credenti sono spesso esortati a guardare dentro di sé, alla ricerca di segni soggettivi di rigenerazione o santificazione, per non essere trovati inadeguati. Eppure, una lettura attenta, sia al contesto immediato che al più ampio corpus paolino, dimostra che questa interpretazione è errata.

Una breve precisazione su elezione e predestinazione

Nelle discussioni sulla salvezza, la teologia si ingarbuglia spesso in interpretazioni complesse, soprattutto riguardo ai termini elezione e predestinazione. Questi termini, spesso considerati intercambiabili e legati alla salvezza, sono spesso fraintesi. Questo articolo si propone di fornire un chiarimento introduttivo su ciò che la Scrittura insegna realmente su questi concetti, confrontandoli con le comuni prospettive calviniste e arminiane.

La cronologia semplificata della redenzione

Per fondare la discussione, immaginate un semplice grafico che inizia con la Creazione e attraversa l’Antico Testamento, per poi arrivare alla venuta di Cristo, alla sua morte e resurrezione, seguita dalla Pentecoste, quando lo Spirito Santo fu donato in Atti 2. Da qualche parte dopo, un individuo riceve Cristo, il momento della salvezza personale come inteso nella maggior parte dei contesti evangelici.

Discussione con un universalista

In una recente discussione teologica, mi sono confrontato con un apologeta universalista, per esplorare questioni fondamentali sulla salvezza, la fede e il destino eterno. Lo scambio è di particolare interesse per me, perché non affronto l’universalismo da un punto di vista tradizionalista conosciuto in inglese come Eternal Conscious Torment (ECT, Tormento Conscio Eterno), ma lo faccio da condizionalista .

Comprendere il quadro teologico

Prima di addentrarci nei punti specifici della discussione, è importante comprendere le basi delle due posizioni qui rappresentate:

L’universalismo (o Riconciliazione Universale (RU)) sostiene che alla fine tutti gli uomini saranno salvati e riconciliati con Dio, in questa vita o dopo la morte.

Il condizionalismo sostiene che la vita eterna è condizionata dalla fede in Cristo. Coloro che credono ricevono la vita eterna, mentre coloro che non credono subiranno un giudizio, una punizione e cesseranno di esistere dopo la seconda morte.

Sola Fide — Tanti la professano, pochi ci credono davvero

Per secoli, il dibattito sulla salvezza è stato il divario definitivo tra cattolici romani e protestanti. I protestanti hanno storicamente criticato la Chiesa cattolica per aver insegnato ciò che percepiscono come salvezza per opere, contrapponendola al loro grido di battaglia di salvezza per sola grazia, attraverso la sola fede. Questo abisso dottrinale è stato cementato durante la Riforma, con Martin Lutero che ha dichiarato la sola fide come il cuore del Vangelo. Tuttavia, uno sguardo più attento rivela un problema più sottile in gioco. Molti protestanti, in particolare evangelici e credenti riformati, affermano la frase spesso attribuita a Giovanni Calvino:

“Siamo salvati per sola fede, ma la fede che salva non è mai sola.”

Questa qualificazione introduce le opere come prova di salvezza, riecheggiando una visione della salvezza orientata a un processo graduale, che si allinea più alla teologia cattolica romana di quanto spesso riconosciuto. Un esame più attento delle basi della soteriologia sostenute da cattolici romani, calvinisti e arminiani rivela un terreno comune significativo. Tutte e tre le tradizioni affermano che la salvezza è per grazia di Dio e la vedono come un processo piuttosto che un evento una tantum. Inoltre, l’enfasi che calvinisti e arminiani pongono sulla perseveranza e sulle buone opere li allinea più vicino alla teologia cattolica di quanto possano realizzare.

Pertanto, l’analisi qui intrapresa metterà in discussione se tali visioni sostengano realmente il principio della sola fide , contrapponendole alla prospettiva distinta della teologia della Grazia Gratuita, che abbraccia pienamente la salvezza come un atto di fede una tantum e senza condizioni.

L’adempimento delle Scritture nel Venerdì Santo

Il Venerdì Santo[1] è appena passato. È il giorno in cui si ricorda la croce di Gesù, la sua morte agonizzante sul legno. Per chi è familiare con il testo biblico, questo giorno non è affatto un giorno che coglie di sorpresa; non è inaspettato come si possa pensare e non è un qualcosa che avrebbe dovuto cogliere impreparati coloro che lo stavano vivendo più di duemila anni fa. Di certo questo giorno non era inaspettato per Gesù: Egli sapeva infatti più che bene, che quel giorno sarebbe arrivato; anzi, Gesù era venuto ed aveva vissuto proprio in vista di quel fatidico giorno. Avrebbe ricordato infatti più tardi a due suoi seguaci sulla via di Emmaus, che tutte queste cose dovevano accadere secondo le Scritture: “Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?” disse loro Gesù, al vederli stupiti delle cose accadute quel Venerdì Santo. “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” continua il verso in Luca (24:25-26). 

Quali sono dunque queste “cose che lo riguardavano” che troviamo nelle Scritture a partire da Mosè fino a tutti i profeti? In questo studio, vogliamo soffermarci su una selezione di passaggi biblici che hanno preannunziato e poi descritto fin nei minimi dettagli tutto quello che Gesù, il Messia, avrebbe sofferto e perché. 

La vostra fede non vi appartiene?

Alzi la mano chi ha già sentito un calvinista affermare che la nostra fede non ci appartiene. Io di certo sì. Fino alla nausea. La loro argomentazione è di solito questa: il calvinista (che di solito sostiene che la fede salvifica non è un’espressione genuina del peccatore che si rivolge al Salvatore per essere salvato in seguito alla predicazione del vangelo) ci dirà che se rimaniamo dell’idea che la nostra fede è effettivamente nostra, allora la fede diventa un’opera. E poiché la Bibbia insegna che si è salvati per grazia attraverso la fede, indipendentemente dalle opere, la visione non calvinista della fede salvifica è considerata impossibile, perché ciò contraddirebbe l’insegnamento della Bibbia riguardo al ruolo che le buone opere svolgono nella salvezza.

Agostino, iconografia classica resa realisticamente, con background di riferimenti manicheisti.

Ecco come Agostino ha confuso i protestanti sulla salvezza

Agostino lascia un’eredità mista, per usare un eufemismo.

Da un lato, è uno dei più grandi geni di tutti i tempi, al pari di Platone e Aristotele nella sua influenza sullo sviluppo della cultura, della teologia e della politica occidentale. Non si può comprendere la civiltà occidentale senza Agostino. Dai suoi scritti si può sempre trarre un insegnamento positivo.

D’altra parte, la gente ama odiarlo. Gli ortodossi orientali accusano Agostino degli errori di latino che alla fine portarono il vescovo di Roma allo scisma. E gli anti-calvinisti lo accusano degli errori del calvinismo.

Giusto o sbagliato che sia, Agostino è stato tanto influente. Si veda anche la sua influenza sulla “salvezza per signoria” (Lordship Salvation).

La vita eterna nei vangeli: il potere della fede in Gesù, Messia, Figlio di Dio

Il Vangelo di Giovanni spicca per il suo intento evangelistico, che lo si consideri o meno l’unico libro del Nuovo Testamento con tale finalità. Giovanni annuncia un messaggio che risuona profondo e limpido: la vita eterna offerta gratuitamente da Dio.

Il contenuto della fede salvifica è in Giovanni 20:31, dove la fede in Gesù come Messia (o Cristo) e figlio di Dio viene delineata come il sentiero unico verso la vita eterna.

Però, se ci spostiamo sulle tracce dei vangeli sinottici—Matteo, Marco e Luca—incontriamo obiettivi diversi. Ognuno di questi resoconti è stato redatto pensando a un uditorio specifico e mira a mettere in risalto particolari aspetti della vita, degli insegnamenti e delle opere di Gesù.

Questa varietà di scopi e destinatari pone una domanda cruciale: è possibile per un individuo, immergendosi nella lettura di uno dei vangeli sinottici, scoprire in esso il messaggio indispensabile per raggiungere la vita eterna, come potrebbe farlo nel vangelo di Giovanni?

A nostro avviso, la risposta è . Questo articolo mira a dimostrare come ognuno dei quattro vangeli, nonostante le loro specifiche finalità e uditori, sia intriso dell’essenziale affermazione di Gesù come Messia, Figlio di Dio—quel messaggio che se creduto garantisce la vita eterna.

Romani 10:9-10 – È giusto usarli per evangelizzare?

Citati in tanti volantini evangelisti o proclamati dal pulpito, questi versetti vengono spesso usati per indirizzare i non credenti verso il vangelo della vita eterna. Tuttavia, è davvero a questo che Paolo si riferisce qui?

Contesto

Il libro dei Romani fu scritto da Paolo alla chiesa di Roma, che molto probabilmente si formò attraverso la predicazione di Pietro, come leggiamo in Atti 2. Da quel passaggio leggiamo che molti Giudei di “ogni nazione che è sotto il cielo” (v. 5), anche da Roma (v. 10), erano a Gerusalemme per una festività giudaica. Probabilmente questi ebrei tornarono a Roma con il messaggio del vangelo e vi formarono una chiesa. Tuttavia, quella chiesa era molto probabilmente composta sia da ebrei che da gentili, dato che Paolo affronta, in questa lettera, questioni dottrinali per entrambe le audience.

Presumibilmente, il capitolo che stiamo analizzando fa parte di un problema molto specifico che questa chiesa sta vivendo, e Paolo affronta questo problema nei capitoli 9, 10 e 11: un conflitto tra ebrei e gentili, forse una qualche forma di antisemitismo (Ro 14-15). Tuttavia, sostiene Paolo, Dio è fedele e manterrà le Sue promesse (Ro 8:29) sia agli Ebrei, sia ai Gentili. Dio ha infatti eletto Israele (Ro 9), poi ha rigettato Israele a causa della sua incredulità (Ro 10), ma alla fine riceverà e accetterà nuovamente Israele (Ro 11).

Ora, il capitolo 10 inizia con Paolo che dichiara quanto sia grande il suo desiderio di vedere la nazione di Israele rivolgersi finalmente a Gesù come al loro tanto atteso Messia. Ma poi, sottolinea che hanno preferito la propria giustizia a quella di Dio (vv. 3-4). Per questo motivo, non sono in grado di “invocare il nome del Signore”, a causa della loro mancanza di fede (v. 10). Le conseguenze sono l’essere fuori dalla comunione e dalla protezione (v. 10) di Dio.

Gioele 2:32


Il versetto dal libro di Gioele che Paolo cita in Romani 10:13 è importante per la comprensione di Romani 10:9-10. “Invocare il nome del Signore” è qualcosa che i credenti in generale fanno, ma qui è specifico del tempo della Tribolazione (Gioele 2:31), quando Israele riconoscerà il Messia. Essi “invocheranno il suo nome” e saranno salvati, saranno riscattati e finalmente sarà dato loro il regno terreno promesso ai loro padri.

Conclusione

Tenendo conto del contesto di Gioele 2:32 e dello scopo generale del libro di Romani, non si può dire che i versetti analizzati siano soteriologici nel loro scopo. La salvezza di cui si parla nel versetto 9 fa parte di un discorso più ampio che Paolo stava cercando di fare per suscitare accettazione e compassione per la nazione di Israele, eletta irrevocabilmente da Dio (Ro 11:28), temporaneamente fuori dalla comunione (Ro 11 :15), ma che alla fine sarà ripristinata (Ro 11:26). Infine, la salvezza menzionata nei versetti 9 e 10 presuppone anche la salvezza soteriologica, come possiamo dedurre da Romani 10:14-15.

La certezza della salvezza negli scritti di Pietro, Giacomo e Paolo

Introduzione

La dottrina della certezza e sicurezza eterna è stata a lungo una pietra angolare della fede cristiana, offrendo conforto e incoraggiamento ai credenti mentre navigano nelle vicissitudini della vita. Radicata negli insegnamenti di Gesù e degli apostoli, questa dottrina delinea la natura immutabile delle promesse di Dio e la certezza della salvezza del credente in Cristo.

La certezza è il terreno su cui molte teologie si dividono e prendono posizione; Mi piace questa citazione di Ken Keathely: “Gli arminiani sanno di essere salvati ma hanno paura di non poterla mantenere, mentre i calvinisti sanno di non poter perdere la loro salvezza ma hanno paura di non averla”[i]. In tutto il Nuovo Testamento, tuttavia, la dottrina della certezza e della sicurezza eterna è accentuata come una verità inconfutabile, fondata sulla grazia di Dio, sull’opera sacrificale di Gesù Cristo e sulla potenza rigeneratrice dello Spirito Santo. Sottolineando l’origine soprannaturale della nuova nascita del credente, gli scritti apostolici fungono da fervido appello ai cristiani affinché riconoscano la loro incrollabile posizione davanti a Dio, liberi dal timore di perdere la loro salvezza.

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