“Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli”
(Matteo 5:3 – NR2006)
Devo confessare che quando mi sono offerta di scrivere su questo particolare attributo che troviamo nelle Beatitudini, non avevo idea di cosa significasse davvero essere “poveri in spirito”. Inizialmente, pensavo significasse “essere tristi” o magari “deboli”. Tuttavia, dopo un bel po’ di ricerca, ho trovato un articolo di Zane Hodges che mi ha aiutato a fare chiarezza.
In “Possessing the Kingdom (Matthew 5:3)”, Hodges spiega:
“Gesù ci informa che il regno sarà di coloro che sono “poveri in spirito”. Vale a dire che esso apparterrà a quei Suoi discepoli che avranno imparato la vera umiltà, e a sottomettere il proprio cuore a Dio”.
Considerando questa citazione come una definizione valida di quel che significa essere “poveri in spirito”, useremo la parola “umiltà” per il resto di questo articolo. Esamineremo che cosa vuol dire essere “poveri in spirito” tracciando la via dall’umiltà all’onore come esemplificato dalle vite di Cristo, dell’Apostolo Paolo e di Mosè. Come anche Kathryn ha sottolineato nell’introduzione a questa serie, “le qualità che il Signore desidera vedere in noi sono quelle che Egli ha dimostrato per primo”. Un bellissimo ritratto dell’umiltà del nostro Salvatore lo si può trovare in Filippesi 2:5-8 (NR2006):
“Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce.”
Un passaggio chiave che salta agli occhi si trova nel verso 7, il quale afferma che Gesù “svuotò sé stesso”. Il Re dell’universo divenne un “nessuno” (Isaia 53:3; Giovanni 1:46) al fine di rimuovere la barriera del peccato e offrirci gratuitamente la vita eterna, semplicemente per mezzo della fede in Lui (Giovanni 3:16; Efesini 2:8-9). La Sua vita in cambio della nostra. Il verso 8 sembra suggerire che fu l’umiltà di Gesù a rendere possibile quell’ubbidienza necessaria affinché un tale scambio potesse avvenire.Ad ogni modo, come si vede nei versi 9-11 del capitolo 2 di Filippesi, l’umiltà conduce, in ultimo, all’onore:
“Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”.
Filippesi 2:9:11 (NR 2006)
In un recente studio su Ebrei, ho imparato che, probabilmente, quando Gesù ebbe compiuto la sua missione e fu asceso in Cielo, allora Egli ricevette il “nome” di cui si fa riferimento al verso 9. Il nome in questione è quello di “Figlio” ed implica una particolare connotazione biblica dal significato di “Re”. In “Hebrews: Partners with Christ”, Ken Yates spiega:
“Grazie al Suo lavoro finito, Cristo è entrato in una nuova relazione con il Padre Suo e con il Suo popolo. Nel giorno della Sua esaltazione alla destra del Padre, tutti i privilegi dell’essere re divennero Suoi. In quel momento, Egli fu dichiarato il “Figlio di Dio” in questo significato speciale.
(pag.29)
Sebbene la vita di Gesù fu contrassegnata dall’umiltà e dalla modestia, furono proprio la sottomissione e la deferenza al piano di Dio le qualità che aprirono la strada alla Sua definitiva esaltazione come Re!
La vita dell’Apostolo Paolo mostra una traiettoria simile, poiché segue l’esempio del nostro Signore. Avendo goduto dei privilegi e della fama derivanti da una vita spesa come eminente Fariseo, in Romani 1:1 Paolo si definisce un “servo di Cristo Gesù”.
Più avanti, in Filippesi 3:7-8 (NR2006), dichiara:
“Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo”.
Queste parole furono scritte da Paolo mentre si trovava in prigione. Ben lontano ormai dal potere e dall’influenza posseduti in passato, la vita dell’Apostolo era ora costantemente contrassegnata da prove ed avversità, avendo negato sé stesso per dedicarsi con tutto il cuore all’avanzamento del Vangelo. Fu imprigionato, fu lapidato, naufragò e soffrì la miseria. Eppure, in umiltà sopportò ogni cosa, sapendo che essere “nessuno” qui lo avrebbe reso un “qualcuno” lì.
Paolo abbracciò l’invito fatto da Gesù ai Suoi discepoli in Matteo 16:24-25 (NR2006):
“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se uno vuole venire dietro a me, rinunci a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà”.
Paolo comprese che una vita fatta di umile sacrificio sarebbe risultata in un’eternità fatta di onore e ricompense, in quanto Gesù disse anche:
“Perché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo l’opera sua”.
Matteo 16:27 -NR2006
Un esempio di questo stesso tema nell’Antico Testamento può essere trovato nella vita di Mosè. Cresciuto nello splendore del palazzo del Faraone, Mosè rinunciò alla sua posizione di principe d’Egitto e scelse di vivere con il popolo di Dio. Ciò significò la schiavitù nelle mani degli Egiziani e ogni genere di prova nel deserto, mentre cercava di condurre un popolo indisciplinato nella terra promessa. Anche Mosè “rinunciò a tutto” con umiltà. Come Paolo, rifiutò ciò che il mondo aveva da offrire e “perse” la sua stessa vita, in cerca di qualcosa migliore.
Ebrei 11:24-26 (NR2006) spiega le sue ragioni:
“Per fede Mosè, fattosi grande, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone, preferendo essere maltrattato con il popolo di Dio che godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa”.
Tenendo a mente il loro esempio, sforziamoci di emulare l’umiltà di Cristo, di Paolo e di Mosè mentre lavoriamo per il Suo regno, sapendo che “…chiunque si abbasserà sarà innalzato”. (Matteo 23:12b – NR2006)
Queste sono le famiglie dei figli di Noè, secondo le loro generazioni, nelle loro nazioni; da essi uscirono le nazioni che si sparsero sulla terra dopo il diluvio. (Genesi 10:32)
Questo è il verso conclusivo del decimo capitolo della Genesi, conosciuto come La tavola delle nazioni. Ci dice che tutte le nazioni del mondo si sono formate dai discendenti di Noè. La base di questa divisione a livello mondiale era la loro dispersione a Babele (Genesi 11:9), «ciascuno secondo la propria lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni» (Genesi 10:5; vedi anche Genesi 10:20,31). Per evitare che qualcuno pensi che questo elenco di nazioni sia semplicemente folklore, ci basta ricordare che William F. Albright, probabilmente il più grande archeologo del XX secolo, lo ha definito «un documento sorprendentemente accurato». Molti etnologi parlano ancora di lingue e popoli iafetici, camitici e semitici.1
Ma per quanto riguarda l’origine delle “razze”? Cercare nella Bibbia è invano, perché né la parola né il concetto di “razza” compare nella Bibbia! Non esiste alcuna razza, tranne la razza umana! Il colore della pelle e altre caratteristiche presunte razziali sono semplici ricombinazioni di fattori genetici innati, originariamente creati in Adamo ed Eva per permettere lo sviluppo di diverse caratteristiche familiari nella razza umana, alla quale fu comandato di moltiplicarsi e riempire la terra (Genesi 1:28; 9:1).
“Razza” è rigorosamente un concetto evolutivo utilizzato da Darwin, Huxley, Haeckel, e gli altri evoluzionisti del XIX secolo per razionalizzare il loro razzismo. Ma da principio non fu così! «Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso; […] ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra» (Atti 17:24,26).
Liberalmente tradotto e adattato da Origin of the races by Henry M. Morris III.
Da Iafet, Cam e Sem, i tre figli di Noè. (Genesi 10:1) ↩
Nella sua prima venuta, Cristo è venuto con un’offerta di pace tra l’uomo e Dio (Romani 5:1) e non tra uomini e uomini (Matteo 10:34). Anzi, chi accetta la prima offerta (Giovanni 1:12-13) automaticamente si troverà in guerra con coloro che scelgono di rimanere ostili a Dio (Giacomo 4:4).
Nella sua seconda venuta, Cristo verrà a regnare per mille anni sulla terra (Apocalisse 20:1-6). Durante questo periodo, non vi sarà influenza satanica nel mondo, ma, a parte coloro appartenenti alla prima resurrezione, l’uomo sarà ancora nel suo stato naturale e la pace sarà forzata sulla terra da Cristo (Salmi 2:8-9) che interverrà direttamente tra le nazioni.
Alla fine del Millennio, dopo l’ultima ribellione e sconfitta finale di Satana (Apocalisse 20:7-10), e dopo il giudizio finale, si entrerà in uno stato di pace eterna, tra Dio e gli uomini e tra gli uomini stessi. (Apocalisse 21).
La donna biblica (partendo dalla Genesi) che vorrei mia figlia diventasse
Che noi, figlie redente di Eva, possiamo sradicare ogni influenza ingannevole, sia interiore che esteriore, ponendo la nostra fiducia e obbedienza nella Parola perfetta di Dio e insegnando alle generazioni future a fare altrettanto.
Mia figlia è una bimba ai primi passi, vivace e farfugliante, ma non è troppo piccola perché le parli della sua bis bis bis…bisnonna Eva. Di sera si eccita tutta al pensiero di passare del tempo con la Bibbia, la mamma e il papà e guarda attentamente tutte le figure mentre le leggiamo le Scritture. Durante riflessioni brevi, tra un cambio di pannolino e la pulizia del seggiolone, io mi sento attanagliata dalla responsabilità di mostrarle cosa significa essere «una donna che teme il Signore» (Proverbi 31:30), cosa che lei di certo non imparerà dalla cultura che la circonda. Man mano che crescerà dovrò insegnarle ad affermare e discutere della Genesi, poiché in essa troviamo le fondamenta di ciò che vuol dire essere donna secondo la Bibbia.
«Ma guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché serrate il regno dei cieli davanti alla gente; poiché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare. (Matteo 23:13)
Nostro Signore Gesù pronuncia otto “guai a voi” in Matteo 23, rivolto ai capi religiosi dell’epoca. Questo qui sopra li condanna per il rifiuto della libertà che Cristo portava col nuovo patto.
Il primo messaggio “formale” che Gesù predicò era preso dalla grande profezia in Isaia 61: “«Lo Spirito del Signore è sopra di me, perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha inviato [per guarire quelli che hanno il cuore spezzato,] per annunciare la liberazione ai prigionieri e il recupero della vista ai ciechi; per rimettere in libertà gli oppressi,” (Luca 4:18)
Più tardi, l’apostolo Paolo noterà che “prima che venisse la fede eravamo tenuti rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata.” (Galati 3:23) Questi capi presuntuosi erano così innamorati della loro posizione e del loro prestigio, che si rifiutarono di gioire del fatto che “Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi” (Galati 5:1) e tennero ben chiuse le porte della prigione legalistica, persino contro coloro che rispondevano all buona novella del Regno!
È interessante notare che Gesù codannò entrambi i gruppi (Farisei e Sadducei) per lo stesso problema. Eppure essi erano diversi nella loro posizione. I Farisei potrebbero essere analoghi ai legalisti dei nostri giorni e i Sadducei ai liberali. Ambo i gruppi dichiaravano credo nella “ispirazione” (delle Scritture) ed entrambi erano orgogliosi della loro conoscenza dei testi sacri.
Il loro errore comune era la distorsione della verità di Dio con interpretazioni che offuscavano il messaggio, serrando così – a motivo della loro incredulità – le porte che conducono alla “gloriosa libertà dei figli di Dio” (Romani 8:21).
Attributi degni di ricompensa
Di Squadra Editoriale
il 21 Aprile 2022
in Commentari, Grazia Gratuita, Miscellanea, Nuovo Testamento, Pensieri e Riflessioni
Onore all’umile
Devo confessare che quando mi sono offerta di scrivere su questo particolare attributo che troviamo nelle Beatitudini, non avevo idea di cosa significasse davvero essere “poveri in spirito”. Inizialmente, pensavo significasse “essere tristi” o magari “deboli”. Tuttavia, dopo un bel po’ di ricerca, ho trovato un articolo di Zane Hodges che mi ha aiutato a fare chiarezza.
In “Possessing the Kingdom (Matthew 5:3)”, Hodges spiega:
Considerando questa citazione come una definizione valida di quel che significa essere “poveri in spirito”, useremo la parola “umiltà” per il resto di questo articolo. Esamineremo che cosa vuol dire essere “poveri in spirito” tracciando la via dall’umiltà all’onore come esemplificato dalle vite di Cristo, dell’Apostolo Paolo e di Mosè. Come anche Kathryn ha sottolineato nell’introduzione a questa serie, “le qualità che il Signore desidera vedere in noi sono quelle che Egli ha dimostrato per primo”. Un bellissimo ritratto dell’umiltà del nostro Salvatore lo si può trovare in Filippesi 2:5-8 (NR2006):
Un passaggio chiave che salta agli occhi si trova nel verso 7, il quale afferma che Gesù “svuotò sé stesso”. Il Re dell’universo divenne un “nessuno” (Isaia 53:3; Giovanni 1:46) al fine di rimuovere la barriera del peccato e offrirci gratuitamente la vita eterna, semplicemente per mezzo della fede in Lui (Giovanni 3:16; Efesini 2:8-9). La Sua vita in cambio della nostra. Il verso 8 sembra suggerire che fu l’umiltà di Gesù a rendere possibile quell’ubbidienza necessaria affinché un tale scambio potesse avvenire.Ad ogni modo, come si vede nei versi 9-11 del capitolo 2 di Filippesi, l’umiltà conduce, in ultimo, all’onore:
In un recente studio su Ebrei, ho imparato che, probabilmente, quando Gesù ebbe compiuto la sua missione e fu asceso in Cielo, allora Egli ricevette il “nome” di cui si fa riferimento al verso 9. Il nome in questione è quello di “Figlio” ed implica una particolare connotazione biblica dal significato di “Re”. In “Hebrews: Partners with Christ”, Ken Yates spiega:
Sebbene la vita di Gesù fu contrassegnata dall’umiltà e dalla modestia, furono proprio la sottomissione e la deferenza al piano di Dio le qualità che aprirono la strada alla Sua definitiva esaltazione come Re!
La vita dell’Apostolo Paolo mostra una traiettoria simile, poiché segue l’esempio del nostro Signore. Avendo goduto dei privilegi e della fama derivanti da una vita spesa come eminente Fariseo, in Romani 1:1 Paolo si definisce un “servo di Cristo Gesù”.
Più avanti, in Filippesi 3:7-8 (NR2006), dichiara:
Queste parole furono scritte da Paolo mentre si trovava in prigione. Ben lontano ormai dal potere e dall’influenza posseduti in passato, la vita dell’Apostolo era ora costantemente contrassegnata da prove ed avversità, avendo negato sé stesso per dedicarsi con tutto il cuore all’avanzamento del Vangelo. Fu imprigionato, fu lapidato, naufragò e soffrì la miseria. Eppure, in umiltà sopportò ogni cosa, sapendo che essere “nessuno” qui lo avrebbe reso un “qualcuno” lì.
Paolo abbracciò l’invito fatto da Gesù ai Suoi discepoli in Matteo 16:24-25 (NR2006):
Paolo comprese che una vita fatta di umile sacrificio sarebbe risultata in un’eternità fatta di onore e ricompense, in quanto Gesù disse anche:
Un esempio di questo stesso tema nell’Antico Testamento può essere trovato nella vita di Mosè. Cresciuto nello splendore del palazzo del Faraone, Mosè rinunciò alla sua posizione di principe d’Egitto e scelse di vivere con il popolo di Dio. Ciò significò la schiavitù nelle mani degli Egiziani e ogni genere di prova nel deserto, mentre cercava di condurre un popolo indisciplinato nella terra promessa. Anche Mosè “rinunciò a tutto” con umiltà. Come Paolo, rifiutò ciò che il mondo aveva da offrire e “perse” la sua stessa vita, in cerca di qualcosa migliore.
Ebrei 11:24-26 (NR2006) spiega le sue ragioni:
Tenendo a mente il loro esempio, sforziamoci di emulare l’umiltà di Cristo, di Paolo e di Mosè mentre lavoriamo per il Suo regno, sapendo che “…chiunque si abbasserà sarà innalzato”. (Matteo 23:12b – NR2006)
di Kelley Easley (original link)