GraceNotes n.59 del Dr. Charlie Bing

Chiunque dimora in lui non pecca chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto […] Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché il seme di Dio dimora in lui e non può peccare perché è nato da Dio.

1 Giovanni 3:6,9 LND

(Si noti che traduzioni più moderne, come la Nuova Riveduta, non traducono “non pecca” ma “non persiste nel peccare” — affronteremo questo punto più avanti).

Molti hanno difficoltà con questi versetti (e analogamente 5:18 e altri versi in 1 Giovanni, che non possono essere inclusi in questo studio), perché sembrano contraddire l’esperienza e contraddire 1 Giovanni 1:8 che dice:

Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi.

e anche 1 Giovanni 1:9 che dice ai credenti che “noi” dovremmo confessare i nostri peccati.

Quindi, se Giovanni stabilisce il fatto che i credenti peccano nel capitolo 1, come può dire in seguito che i credenti non peccano? Un’interpretazione errata di questi versetti ha indotto molti cristiani a dubitare della loro salvezza.

Una corretta comprensione dello scopo dell’epistola

Che questi versetti siano scritti ai credenti è fuori discussione. Lo scopo dell’epistola è incoraggiare i lettori ad avere comunione sia con Dio sia con gli apostoli, al fine di rendere piena la gioia dei lettori (1 Gv 1:2-3). L’autore si rivolge in diversi modi ai lettori come credenti. Anche il capitolo 3 inizia con una chiara dichiarazione che essi, come l’autore, sono figli di Dio (3:1-3; vedere GraceNotes n. 37, “Interpretazione di 1 Giovanni” [non ancora tradotto]).

Una corretta comprensione delle parole chiavi

È utile esaminare attentamente alcune delle parole usate da Giovanni. Nel versetto 6 Giovanni non dice «Chi crede in Lui non pecca», ma «Chi dimora in Lui non pecca». Che Giovanni tratti credere e dimorare in modo diverso è chiaro da Giovanni 8:31 dove scrive: “Gesù disse allora ai Giudei che avevano creduto in lui: «Se dimorate nella mia parola, siete veramente miei discepoli;” (le abitudini grammaticali di Giovanni rendono 8:30-32 un parentetico che si riferisce a un sottogruppo dell’uditorio originale di Gesù—non è lo scopo di questo studio trattare questi versi, quindi per ora mi limito a citare questa pubblicazione).

Credere è la condizione per chiunque desideri essere salvato in eterno, ma dimorare è una condizione per un credente che vuole essere un discepolo di Gesù Cristo. Le due cose non sono equivalenti. Credere è essere persuasi di qualcosa, dimorare significa restare o continuare (in una determinata sfera). La sfera in cui Giovanni vuole che i credenti rimangano è quella che troviamo nella sua dichiarazione di intenti come comunione con Dio tramite Gesù Cristo (1:3; vedere anche 1:6-7). La sua esortazione ai suoi lettori, che chiama affettuosamente «figlioletti miei», è: «rimanete in Lui» (Gesù). Quindi Giovanni parla di cristiani che rimangono in comunione con Gesù Cristo: sono questi cristiani che non peccano.

Dobbiamo anche definire attentamente i due verbi che sono dichiarati come conseguenze negative nel versetto 6: «non l’ha visto né l’ha conosciuto». Sebbene questi verbi siano talvolta usati da Giovanni in relazione alla vita eterna (Giovanni 3:36 ; 4:42 ; 6:69 ; 8:28 ; 10:38 ), a volte li usa anche per descrivere un’esperienza più profonda di conoscenza più intima del Salvatore. La maggior parte dei lessici riconosce che “vedere” (horao) può riferirsi alla propria percezione ed esperienza di qualcosa, specialmente nella letteratura di Giovanni (confronta Giovanni 6:36; 12:45; 14: 9; 15:24; 3 Giovanni 11). Allo stesso modo, Giovanni a volte usa “conoscere” (ginosko) per descrivere una conoscenza personale, familiarità o amicizia (Giovanni 14:7,9 ; 17:3). Nel versetto 6 troviamo che vedere e conoscere descrivono entrambi una conoscenza più profonda di Gesù Cristo. Sono parole adatte allo scopo di Giovanni nella sua prima epistola: la comunione con Dio.

In poche parole, Giovanni sta dicendo che coloro che rimangono in comunione con Gesù Cristo non peccano. Coloro che peccano non hanno l’esperienza intima con il Signore che è disponibile per tutti i credenti.

Una corretta comprensione del tempo presente

Alcuni hanno affermato che poiché i verbi “peccare” (hamartano) e poieo (fare, commettere, praticare, usati con il sostantivo peccato in v. 9) sono al tempo presente, significano “continuare a peccare” o “persistere nel peccato”. In altre parole, dicono che Giovanni non sta parlando di peccato occasionale o peccato in senso assoluto, ma di peccato ripetuto abituale (chiamato azione iterativa). Alcune traduzioni della Bibbia riflettono questa interpretazione nel versetto 6 e/o nel versetto 9 (ad esempio, NR1994, NR2006). Tuttavia, se usato in un senso abituale, il tempo presente avrebbe bisogno di parole aggiuntive che indicano chiaramente un’azione ripetuta. Non c’è nulla di inerente al tempo presente stesso che richieda un’azione continua o ripetitiva, e non ci si dovrebbe aspettare che i lettori di Giovanni coglino un uso così sottile del tempo presente. Un uso abituale del tempo presente in 1:8 e 5:16 sarebbe incoerente con il suo uso in 3:9. (Inoltre, si provi a dare un senso a un’azione continua in un versetto come Giovanni 6:33 -“Perché il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà vita al mondo»”). Sembrerebbe che questa traduzione errata del tempo presente sia derivata teologicamente da chi insegna che coloro che sono genuinamente salvati non persevereranno nel peccato.

Ci sono anche altri problemi. Quali peccati potrebbero essere considerati abituali: rabbia, orgoglio, lussuria o mancanza di preghiera? E quando un peccato dovrebbe essere considerato abituale: se commesso una volta al giorno, una volta alla settimana, una volta al mese o una volta all’anno?

L’uso assoluto del tempo presente per il verbo peccato, non l’uso abituale, ha perfettamente senso quando si capisce cosa dice Giovanni riguardo la nuova natura.

Una corretta comprensione della nuova natura

In 3:5 Giovanni dice che Gesù Cristo venne per togliere i nostri peccati e «in Lui non c’è peccato». Quindi il versetto 6 dice che quando i credenti dimorano in Gesù non peccano: è impossibile peccare perché non c’è peccato in Lui. Se i credenti dimorano nel Cristo senza peccato, il versetto 9 dice che non possono peccare. La comunione con Cristo non si traduce mai in peccato!

Il verso 9 mette questa verità nei termini della nuova natura che il credente riceve nella rigenerazione. Il “seme” di Dio nel credente si riferisce a una nuova vita che dà al credente una nuova natura. Un genitore senza peccato genera figli senza peccato. La nuova natura del credente da parte di Dio non si esprime mai peccando, quindi quei credenti che peccano non sono in comunione con o dimorano in Gesù Cristo. (Anche l’apostolo Paolo ha scritto sulla manifestazione della vecchia e nuova natura del credente in passaggi come Romani 7:14-25 e Galati 2:20). Con questa comprensione della nuova natura, non c’è bisogno di tradurre il tempo presente in 3:9 come “abituale” per armonizzarlo con 1:8. In 1:8 Giovanni parla del credente nella sua esperienza generale, ma in 3:9 parla del cristiano visto attraverso la sua nuova natura, proprio come in 3:6 parla del cristiano come di uno che dimora in Cristo.

Conclusione

I veri credenti peccano, e talvolta peccano seriamente e ripetutamente. Lo sappiamo per esperienza e dalla testimonianza della Scrittura. Ma quando il credente dimora in comunione con Gesù Cristo, è impossibile peccare perché in quella sfera, in Cristo stesso, non c’è peccato. Gesù è venuto per togliere il peccato del mondo. Lo ha fatto nel senso eterno quando è morto sulla croce per il peccato, garantendo la vita eterna a chiunque creda; e rimuove il peccato anche dall’esperienza quotidiana di tutti quei credenti che dimorano in Lui.

Senza tale comprensione, molti credenti dubiteranno sempre della loro salvezza perché sanno di peccare. La grazia di Dio ci dà non solo un modo per evitare il peccato (3:6,9), ma anche un rimedio quando lo facciamo (1:9).