Nella seconda parte di questa serie parleremo principalmente della questione delle sette economie (o dispensazioni) e toccheremo brevemente la questione del cessazionismo dei doni spirituali.

Dispensazioni

Nonostante la nostra aperta posizione teologica, se c’è qualcosa alla quale diamo poca enfasi, paradossalmente, sono proprio le dispensazioni (o economie). Ciò che costituisce il fondamento del nostro sistema teologico è dare priorità all’ermeneutica storico-grammaticale. Tale metodo è stato riassunto in quella che è diventata famosa come la Regola d’Oro dell’Interpretazione:

Quando il significato ovvio della Scrittura ha senso, non cercate altro significato; pertanto, interpretate ogni parola in base al suo primario, ordinario, usuale significato letterale, a meno che i fatti del contesto immediato, studiati alla luce di passaggi correlati e di verità assiomatiche e fondamentali, indichi chiaramente di fare altrimenti.​[1]​

David L. Cooper

Il dispensazionalismo è incentrato sull’utilizzo quasi dogmatico di questa ermeneutica ed è per questo che chiunque aderisce con lo stesso livello di dogmatismo a tale principio ermeneutico non può dire con coscienza di non essere dispensazionalista.​*​

Tale consistenza ermeneutica è ciò che dunque ci rende dispensazionalisti, ma anche ciò che ci rende free grace, e tante altre cose, alcune delle quali non necessariamente comuni a tutti i dispensazionalisti. Per esempio, noi siamo anche continuazionisti e non cessazionisti, dimostrando che fare di un’erba un fascio non è mai utile, soprattutto come criterio per rigettare un sistema teologico.

Tuttavia, nonostante la nostra scarsa enfasi sulle dispensazioni, riteniamo che qualcosa vada detto.

Quando prendiamo una definizione di dispensazione comune in ambito dispensazionalista, si nota subito una cosa importante: le dispensazioni non prescrivono mai diversi modi in cui si ottiene la vita eterna (accusa spesso rivolta ai dispensazionalisti, nell’ignoranza o nella menzogna che sia): questa è sempre un dono gratuito di Dio a chiunque crede in Lui, in qualsiasi dispensazione.

Quindi, anche se il dispensazionalismo di contraddistingue per l’uso di termini come dispensazione e per aver sistematizzato le sette economie che danno nome al sistema, è d’uopo ricordare che tale modo di suddividere la storia biblica non è per niente una novità. Cito (traducendo e non verbatim), dal Moody Handbook of Theology:​[2]​

Giustino Martire (110-165 d.C) sottoscriveva l’essenza del dispensazionalismo, riconoscendo diverse economie nel Vecchio Testamento.

Ireneo (130—200 d.C.) si riferisce nei suoi scritti a quattro principali patti dati alla razza umana, in particolare facendo una distinzione tra tre patti dell’Antico Testamento e il Vangelo. Questa distinzione è tipica del dispensazionalismo.

Clemente di Alessandria (150-220 d.C.) identificava quattro dispensazioni: Adamica, Noaica, Abramica, Mosaica.

Agostino (354-430 d.C.) distingue tra la dispensazione precedente (dei sacrifici) e quella attuale (senza sacrifici). Agostino si riferisce a questo come “i cambiamenti della successione di epoche” e ammette che i credenti adorano in maniera diversa in epoche diverse.

È chiaro, come dice Charles Ryrie, che non si può dire che questi padri della chiesa fossero dispensazionalisti nel senso moderno del termine, ma chiaramente non avevano problemi a sistematizzare le epoche bibliche in maniera “dispensazionalista”, a dimostrazione del fatto che non c’è nulla di anti-biblico: si tratta solo di uno strumento di teologia sistematica come tanti altri, usato per suddividere la storia biblica in base a un preciso criterio.

Facendo un salto in avanti, abbiamo:

Pierre Poiret (1646-1719 d.C.) Nel suo “L’Economie Divine”, un ibrido Calvinista e premillenialista, Poiret identifica sette dispensazioni:

1. Infanzia (fino al Diluvio)
2. Fanciullezza (fino a Mosè)
3. Adolescenza (fino ai profeti)
4. Gioventù (fino al primo avvento)
5. Maturità (primi tempi del Cristianesimo)
6. Vecchiaia (ultimi tempi del Cristianesimo)
7. Rinnovo (millennio terreno)

Prima dei tanto invisi Darby e Scofield, il Moody Theological Handbook menziona anche:

  • John Edwards (1637-1716), autore di A Compleat History, or Survey of All the Dispensations, dove riporta una sistematizzazione di tre macro-dispensazioni, con la terza divisa in quattro;
  • Isaac Watts (1674-1748), autore di un sistema di sei dispensazioni molto simili alle prime sei di Scofield, ma senza una settima dispensazione per lo stato eterno.

Data la comune pratica di dividere la storia biblica in epoche in base a un determinato criterio, e dato che nessuna di queste divisioni va mai ad attaccare dottrine ortodosse, men che meno il Vangelo, non è ben chiaro dove sia il tremendo errore.

È forse un errore usare uno strumento valido di teologia sistematica?

Cessazionismo

Riguardo al cessazionismo, resta quanto accennato nella prima parte di questa serie, ovvero che dire che il dispensazionalismo è in errore perché è una posizione cessazionista è fallace: c’è prima da dimostrare che la posizione cessazionista è sbagliata (cosa che, da continuazionista, non ho intenzione di fare in questa sede) prima di arrivare a tale conclusione. C’è inoltre da riconoscere che il cessazionismo non è una dottrina cardine del sistema teologico dispensazionalista.

Il nostro fratello riformato attribuisce l’eredità cessazionista del dispensazionalismo al Calvinismo di Darby. La cosa è in effetti irrilevante, siccome col Neo Calvinismo di oggi, abbiamo ibridi alquanto strani come riformati carismatici (vedi John Piper). E ancora, diversi dispensazionalisti che escono dal Dallas Theological Seminary sono Free Grace ma con sfumature Calviniste nella loro soteriologia (cosa comune è l’accettazione della distorsione non biblica del concetto di elezione), ma questo non costituisce nessuna autorità se non sotto la fallacia logica dell’appello al consenso.


  1. ​*​
    È importante ribadire che esistono altre ermeneutiche valide, ma solo quella storico-grammaticale è fondamentalmente inviolabile, nel senso che altre ermeneutiche possono fornire maggiori dettagli, maggior spessore, ma mai contraddire o negare il significato letterale di un passaggio. Questo accade anche nella società ebraica del primo secolo, come testimoniato dai Rotoli del Mar Morto e lo stesso Nuovo Testamento. L’impiego di “pesher”, “midrash”, tipologia, ed ermeneutica corporativa non va mai a contraddire l’interpretazione “peshat” del testo, laddove “peshat” è la versione ebraica di “significato ovvio”, e quindi del metodo storico-grammaticale.

Bibliografia

  1. [1]
    Cooper David L. 1973. The God of Israel. Biblical Research Society.
  2. [2]
    Enns Paul P. 2014. The Moody Handbook of Theology. Moody Press, Chicago, IL.