L’ottavo capitolo del Vangelo di Giovanni contiene uno dei dialoghi più fraintesi del Nuovo Testamento. Inizia con la splendida affermazione: “Mentre egli parlava così, molti credettero in lui.” (Giovanni 8:30), ma nel giro di pochi versetti, coloro che sembrano aver creduto vengono definiti bugiardi, assassini e figli del diavolo. Per secoli, i commentatori hanno faticato a spiegare questa tensione. Questi “credenti” hanno forse perso la fede? La loro fede era insincera fin dall’inizio? La fede non è sufficiente? O sta accadendo qualcos’altro nella narrazione che molti non sono riusciti a vedere?

La risposta non sta nel sminuire il significato della  fede, ma nel leggere attentamente ciò che Giovanni ha effettivamente scritto.

Credere e perseverare

Nel versetto 31, Giovanni riporta che “Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui  La costruzione greca usa il participio perfetto di  pisteuō  (credere), indicando un atto compiuto con risultati continuati nel tempo. Questi individui avevano creduto e quindi erano rimasti in quello stato. Non vi è alcun fondamento linguistico o teologico per supporre che la loro fede fosse spuria o temporanea. Nel Vangelo di Giovanni, credere in Gesù (pisteuō eis auton) denota sempre una fiducia genuina nella Sua persona come Cristo, il Figlio di Dio.

A questi nuovi credenti Gesù rivolge un ulteriore invito: “«Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»”.  La condizione del perseverare—letteralmente dimorare, rimanere–è rivolta a coloro che sono già salvati. Non è una prova della genuinità della loro fede, ma un’esortazione a crescere in essa. Un credente può dimorare o meno; il perseverare conduce alla crescita nel discepolato e alla libertà esperienziale, non alla salvezza stessa.

Pertanto, la distinzione è fondamentale:  la fede rende figli di Dio; la perseveranza rende discepoli maturi.

L’interruzione improvvisa

Subito dopo la promessa di libertà di Gesù, leggiamo:  Essi gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abraamo, e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: “Voi diverrete liberi”?»  (v. 33). La domanda che ha lasciato perplessi molti interpreti è: chi sono essi?

L’ipotesi che si riferiscano ai credenti dei versetti 30-32 crea una contraddizione insanabile: come possono coloro che avevano appena creduto ora resistere a Gesù e cercare di ucciderlo? Eppure, il Vangelo di Giovanni fornisce una sua soluzione attraverso il modello di conversazione che impiega. Nei capitoli 7 e 8, Gesù parla spesso a un gruppo e viene interrotto da un altro. I pronomi cambiano bruscamente e Giovanni spesso identifica coloro che parlano solo a posteriori. L’effetto è una deliberata ambiguità letteraria che rispecchia la confusione della folla.

In questo contesto, l’essi del versetto 33 non si riferisce ai credenti a cui Gesù si è appena rivolto, ma a un gruppo diverso all’interno dello stesso pubblico: gli ebrei non credenti che stavano ascoltando e non potevano sopportare le Sue parole. Giovanni non sottolinea esplicitamente il cambiamento, ma la progressione del pensiero e del tono lo rende inequivocabile.

Dal versetto 33 in poi, le parole di Gesù sono rivolte ai suoi oppositori. Sono coloro che rivendicano Abraamo come loro padre, che cercano di ucciderlo (v. 37) e che Egli identifica come figli del diavolo (v. 44). Essi respingono la sua parola perché “non ha posto” in loro. Al contrario, coloro che avevano creduto in lui rimangono in silenzio; la discussione si è spostata su un altro gruppo di interlocutori.

I due uditori di Gesù

Quando riconosciamo questo cambiamento, il brano riacquista la sua coerenza. Gesù si rivolge prima a coloro che hanno creduto, offrendo loro un percorso di crescita e comunione attraverso la perseveranza nella Sua parola. Poi affronta i leader non credenti che interrompono, smascherandone l’ipocrisia e la schiavitù spirituale.

Confondere questi due pubblici significa distorcere completamente il messaggio. Porta all’idea errata che la fede in Cristo possa essere falsa, che la salvezza non dipenda dal credere ma dalla perseveranza o dal frutto che ne consegue. Eppure Giovanni presenta costantemente la fede come un singolo atto di fiducia che assicura la vita eterna. Il frutto del discepolato, pur essendo desiderabile, appartiene all’ambito della comunione e della maturità.

Le parole di Gesù in questo brano seguono quindi una progressione naturale:

  1. Fede  (v. 30) — Molti credettero in Lui.
  2. Perseveranza  (vv. 31–32) — Un invito a crescere attraverso la Sua parola.
  3. Rifiuto  (vv. 33–59) — Un confronto con l’incredulità.

Solo mantenendoli distinti possiamo preservare l’integrità della testimonianza di Giovanni e la grazia che essa proclama.

Libertà nel Figlio

Quando Gesù dichiara: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, non si riferisce alla libertà politica, ma alla realtà spirituale. La verità libera dall’ignoranza, dalla paura e dal potere schiavizzante del peccato. Eppure, quella libertà appartiene a coloro che prima credono e poi perseverano. È offerta non come condizione per l’accettazione, ma come dono a coloro che sono già stati accolti dalla fede.

La folla incredula fraintende perché è cieca alla propria schiavitù. Insiste di non essere mai stata schiava, dimenticando l’Egitto, Babilonia e persino Roma. Gesù infrange la loro illusione:  “Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato… ma se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero”.

Per i credenti, questa libertà era già a loro disposizione. Per gli oppositori, era ancora un invito aperto.

Conclusione

La scena in Giovanni 8 non è una tragica storia di credenti che si rivoltano contro Cristo, ma un vivido ritratto di come fede e incredulità possano coesistere nella stessa folla. Le parole di Gesù si muovono fluidamente tra coloro che hanno confidato in Lui e coloro che Gli resistono. La confusione sorge solo quando non riusciamo a discernere il cambiamento di pubblico.

Il Vangelo di Giovanni fu scritto affinché credessimo che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo potessimo avere vita nel Suo nome (20:31). Questa vita inizia con la fede, cresce con la perseveranza e risplende quando la verità ci rende liberi. Ma la fede rimane l’inizio—e il fondamento incrollabile—di tutto.