Ho scritto e discusso questo punto diverse volte in passato e, per me, non serve altro che un’attenta lettura di Matteo 24 per capire che la seconda venuta di Gesù è un evento giudeocentrico. È Gerusalemme che Egli piange. È a Sion che ritorna. Ed è il ravvedimento nazionale di Israele a fungere da cardine della storia della redenzione.

Ciononostante, vorrei commentare qui un prezioso articolo di Michael J. Vlach intitolato Israel’s Repentance and the Kingdom of God (MSJ 27/1, primavera 2016). Sebbene Vlach e io potremmo non essere d’accordo su tutto—lui è riformato nella sua soteriologia, mentre io sostengo la teologia della Grazia Gratuita—il suo lavoro su Israele e l’escatologia è solido, equilibrato e ben documentato. Questo articolo, in particolare, evidenzia ciò che molti sembrano trascurare: il modello profetico che collega il ravvedimento nazionale di Israele con l’avvento del regno e il ritorno del Messia.

Una contingenza cruciale e spesso ignorata

L’argomentazione principale presentata da Vlach è questa: l’avvento del regno terreno e mediatore è subordinato al ravvedimento nazionale di Israele. Non si tratta di salvezza per merito, né di accettazione basata sulle opere. Riguarda il modo in cui Dio ha posto le condizioni nella storia per lo sviluppo del Suo piano regale. L’arrivo del regno attende il ritorno collettivo di Israele al suo Messia.

Questo punto viene troppo spesso ignorato nei sistemi che ignorano Israele o ne trasferiscono le promesse alla Chiesa. Kim Riddlebarger, ad esempio, insiste sul fatto che “il Nuovo Testamento non sa nulla di un regno offerto e di un regno ritirato secondo i capricci dell’Israele incredulo”. Ma Vlach giustamente contesta questo punto, dimostrando da entrambi i Testamenti che il ravvedimento di Israele rimane una condizione fondamentale per l’avvento del regno.

Logica profetica e ravvedimento nazionale

Geremia 18 fornisce il fondamento del principio di contingenza nazionale: Dio risponde al modo in cui le nazioni agiscono. Se una nazione si allontana dal male, il giudizio può essere sospeso. Se una nazione si allontana dalla giustizia, le benedizioni possono essere ritardate. Questo non è un meccanismo arbitrario; è un quadro morale. Giona 3 lo dimostra: Ninive si pentì e il giudizio non si abbatté. Nessuna sorpresa.

Questo schema si ripete in tutte le Scritture Ebraiche con riferimento a Israele. Levitico 26, Deuteronomio 30, 2 Cronache 7, Geremia 3-4, Osea 3 e 5: tutti tracciano una linea retta tra ravvedimento e restaurazione. E, cosa fondamentale, queste promesse non si limitano alle benedizioni spirituali. Includono la terra, la prosperità, la pace e la presenza di Dio: tutte realtà del Regno, radicate nel patto abrahamitico.

Ciò che Vlach chiarisce in modo rinfrescante è che il ravvedimento non guadagna il regno; prepara Israele a ricevere ciò che Dio ha da tempo inteso donargli. La conversione di Israele non è un pagamento: è il punto di svolta.

L’offerta del regno nei Vangeli

Questo schema non scompare nel Nuovo Testamento. Giovanni Battista e Gesù predicano lo stesso messaggio fondamentale: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Non si trattava di moralismo. Era un appello nazionale che riecheggiava i profeti: tornare ( shuv ) al Signore affinché il regno promesso possa venire.

Quando Gesù piange su Gerusalemme in Luca 19, non lo fa semplicemente per pathos. È perché le condizioni per la pace nazionale erano lì, se solo si fossero verificate. “Se aveste saputo in questo giorno…” Ma non lo sapevano, e ne seguì il giudizio. In Matteo 23:39, Gesù parla di un riconoscimento futuro: “E non mi vedrete più, finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” Questa è un’affermazione condizionale. Implica che il Suo ritorno sia rimandato finché la nazione d’Israele non Lo accoglierà come Messia.

Atti 3 e la riofferta del regno

Molti sostengono che Israele abbia perso la sua occasione nei Vangeli. Ma il sermone di Pietro in Atti 3 suggerisce il contrario. Rivolgendosi proprio a coloro che avevano rifiutato Gesù, Pietro dichiara che se si fossero ravveduti e fossero tornati, i loro peccati sarebbero stati cancellati e sarebbero giunti i “tempi di ristoro”—un termine che si riferisce non solo al perdono, ma al regno stesso. Aggiunge persino: “e che egli mandi il Cristo che vi è stato predestinato, cioè Gesù”.

La sequenza è inequivocabile: ravvedimento → perdono → regno → ritorno del Re. Vlach osserva correttamente che la grammatica di Pietro riflette la contingenza. L’arrivo del regno non è inevitabile secondo una linea temporale prestabilita. Dipende dalla risposta di Israele.

Paolo e la pienezza di Israele

Romani 11 conferma ciò che i profeti e gli apostoli avevano già chiarito: l’accettazione nazionale di Israele è ancora futura, ed è direttamente legata al compimento del piano di Dio per il mondo. Il rifiuto di Israele portò benedizione alle nazioni. La sua futura accettazione porterà “un rivivere dai morti”, un’espressione ricca di significato di regno e risurrezione.

Anche in questo caso, vediamo causa ed effetto. Quando Israele crede, ne consegue una benedizione globale più grande. Non si tratta di guadagnarsi il favore, ma di adempiere al proprio ruolo. Quel ruolo rimane aperto e attende di essere completato.

Riflessioni conclusive

L’articolo di Vlach non dice nulla di nuovo, ed è proprio per questo che è così importante. Semplicemente ribadisce, in modo chiaro e scritturale, ciò che non avrebbe mai dovuto essere dimenticato: il ravvedimento nazionale di Israele non è una nota escatologica marginale. È un tassello fondamentale del puzzle. Il regno verrà quando Israele invocherà il suo Messia.

Non si tratta di forzare la profezia in uno schema dispensazionalista. Si tratta di lasciare che la Bibbia parli nei suoi termini, secondo la sua cronologia, con le sue categorie. E quando lo facciamo, vediamo che il ritorno di Cristo e l’avvento del Suo regno non sono scollegati da Israele. Al contrario, il ravvedimento di Israele è il punto cardine.


Opere citate:

Vlach, M. J. (2016). Israel’s Repentance and the Kingdom of GodThe Master’s Seminary Journal, 27(1), 161–186. [PDF].