Le parabole sono forse la prima cosa che si impara leggendo il Nuovo Testamento. Il Signore Gesù usava parabole per spiegare le cose in una maniera molto efficace. Questo studio è basato sulla parabola divenuta poi famosa come Parabola del Buon Samaritano (Luca 10:30-35). Gesù usa questa parabola per rispondere a un dottore della Legge che stava cercando di metterlo alla prova (Luca 10:25-29). L’uomo pose la famosa domanda: «Chi è il mio prossimo?». In altre parole: «chi è che dovrei amare come me stesso?» (Levitico 19:18). Quando studiamo questa parabola nel modo classico e applichiamo i buoni principi dell’ermeneutica biblica, l’ovvia conclusione è che il nostro prossimo è chiunque sia nel bisogno.

Chiunque abbia letto il nostro statuto di fede sa che noi sposiamo una lettura letterale, grammaticale, storica e contestuale della Bibbia. Tuttavia, questo non esclude che un dato passaggio biblico abbia letture addizionali, spesso sul livello simbolico. È da notare, comunque, che una lettura simbolica di un passaggio non può comunque violare i principi ermeneutici di base e pertanto essa non può contraddire la lettura letterale dello stesso passaggio, così come la lettura letterale e/o simbolica di tutto il restante testo biblico.

Questa lettura simbolica in aggiunta alla lettura letterale è spesso presente nelle parabole. Del resto la parola “parabola” viene dal greco parabolē che significa «mettere lato a lato», ovvero «comparare». Difatti le parabole sono di solito verità celesti poste in un contesto terreno; pertanto abbiamo due messaggi in uno: una verità letterale, ma anche una verità celeste.

Avendo chiara la verità letterale del passaggio, e sulla seconda, la verità celeste, che il nostro studio di concentra. Ma prima di proseguire, ho pensato che una breve nota sui Samaritani e altre note storiche avrebbero reso più agevole la comprensione di alcuni dei simbolismi che il Signore ha lasciato in questa parabola.

I Samaritani

I Samaritani erano il risultato di matrimoni misti tra agricoltori Giudei e pagani che gli Assiri avevano deportato nel Regno del Nord quando lo conquistarono nel 721 a.C. Mescolare le popolazioni conquistate era una tecnica tipica degli Assiri, poiché riduceva le possibilità di ribellione da parte degli assoggettati.
I Samaritani erano disprezzati dai Giudei sia perché erano figli di matrimoni misti, sia perché avevano introdotto rituali pagani nell’adorazione del Dio vivente (ed entrambe le cose erano proibite dalla Legge; Deuteronomio 7:3; 12:29-31; Esodo 20:3). Nel V secolo a.C. i Samaritani avevano addirittura costruito una replica del tempio di Gerusalemme sul Monte Gerizim, dove loro adoravano Dio. Questo soltanto ci aiuta a capire quanto “oltraggioso” poteva essere alle orecchie di un Giudeo dell’epoca (e ancora peggio, un dottore della Legge) avere un Samaritano come eroe della storia raccontata dal Signore Gesù.

La strada per Gerico

L’antica strada per Gerico era un passaggio ripido e stretto lungo un solo muro di un profondo canyon; oltre 27 chilometri, con un dislivello di quasi 1000 metri, attraverso un’area selvaggia e minacciata da attacchi di animali nel migliore dei casi. Ai tempi di Gesù questa strada era perfino più pericolosa, perché era il luogo perfetto per ladri che si imboscavano nell’area.

Torniamo alla nostra storia celeste

Lasciandoci alle spalle l’interpretazione letterale della parabola, andiamo ad analizzare il passaggio verso per verso, per leggere la nostra storia celeste.

Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e s’imbatté nei briganti, che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. (Luca 10:30 NR2006)

L’uomo in questo passaggio rappresenta voi ed io, ovvero, l’intera umanità. La strada da Gerusalemme a Gerico sappiamo era un posto pericoloso, e simboleggia il mondo in cui noi ci troviamo. I briganti qui rappresentano Satana. Questo diventa più chiaro quando capiamo il simbolismo dei vestiti di cui siamo stati spogliati: la Bibbia parla più volte della nostra “copertura spirituale” in termini di indumenti (vedi Isaia 64:6; 61:10; Zaccaria 3:3-4; Apocalisse 6:11). Gli indumenti di cui siamo stati spogliati, dunque, simboleggiano la nostra rettitudine, che ci è stata rubata da Satana nel Giardino dell’Eden (Genesi 3). Per questo, ogni uomo nel mondo è destinato alla morte (spirituale) (Romani 6:23) a causa della mancanza di rettitudine, a causa del peccato che ereditiamo tutti dai nostri padri Adamo ed Eva (Genesi 5:3; Romani 3:23).

Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. Così pure un Levita, quando giunse in quel luogo e lo vide, passò oltre dal lato opposto. (Luca 10:31-32 NR2006)

In questi altri due versi, i simboli sono il sacerdote e il Levita. Se nella lettura letterale queste due persone rappresentano coloro che dovrebbero essere equipaggiati con l’amore per il prossimo e invece falliscono, la loro simbologia è ancora più forte: essi rappresentano il mero sistema religioso, apparentemente equipaggiato per i nostri bisogni spirituali, ma incapace di salvare la nostra anima dalla schiavitù del peccato. Quando la religione ci trova, non ci salva: il nostro spirito rimane morto così com’era prima; sappiamo che solo un incontro col Dio vivente che ci fa nascere di nuovo, dallo Spirito (Giovanni 1:12-13; 3:3). In aggiunta, dei sacerdoti e dei Leviti di quei giorni, il Signore parlò per bocca del profeta Isaia in questo modo:

Il Signore ha detto: «Poiché questo popolo si avvicina a me con la bocca e mi onora con le labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e il timore che ha di me non è altro che un comandamento imparato dagli uomini, (Isaia 29:13 NR2006)

Come vediamo, la fede è sempre stata la chiave della relazione col Signore: senza fede, è impossibile piacere a Dio (Ebrei 11:6).

Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; (Luca 10:33 NR2006)

I nostri simboli qui sono due: il Samaritano e l’uomo morente. Sappiamo già quest’ultimo chi rappresenta. Ci resta da identificare il Samaritano. Cerchiamo di descriverlo usando ciò che conosciamo di lui: un uomo, disprezzato dai Giudei, che viene giusto lì dove l’altro uomo sta morendo, e ha pietà di lui.

Vi ricorda nulla? Già, la descrizione è molto simile a quella che potremmo fare del Signore Gesù: il Dio vivente divenuto uomo, disprezzato dai suoi (Giovanni 1:12; Marco 6:4; Isaia 53:3), è venuto giusto qui dove noi siamo — sulla Terra — e ha avuto pietà di noi.

avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. (Luca 10:34 NR2006)

Dopo aver capito i simboli del verso precedente, è facile pensare a Isaia 53:5, dove dice «mediante le sue lividure noi siamo stati guariti» quando qui sopra leggiamo che «fasciò le sue piaghe». Ma i simboli di questo passaggio vanno oltre e sono anche piuttosto potenti. Iniziamo dall’olio e dal vino. Ai tempi di Gesù, questi due elementi venivano effettivamente usati nel medicare le ferite: l’olio era un agente lenitivo che dava conforto, mentre il vino era un agente disinfettante, per pulire le ferite.

Sul piano simbolico, tuttavia, l’olio rappresenta lo Spirito Santo (1 Giovanni 2:20,27; Luca 4:18), il Consolatore che ci dà conforto e ci consiglia, dato a tutti i credenti nati di nuovo nel momento in cui hanno creduto la prima volta (Efesini 1:13). Egli è l’autore della rigenerazione dei nostri cuori e della rinascita dei nostri spiriti, purificati per sempre (Ebrei 10:14) dal sangue di Gesù, così da permettere al Signore di promettere di abitare in noi fino al giorno della redenzione (Efesini 1:14). Il vino, d’altro canto, è un chiaro simbolo proprio di quel Sangue (Matteo 26:27-28) che ha lavato via i nostri peccati. Così come il Samaritano versa l’olio e il vino, così lo Spirito è stato versato su di noi e il Sangue per noi.

Il restante simbolismo di questo passaggio sarà ancora più chiaro nel seguente; la locanda è un simbolo per il Regno di Dio nel quale entriamo quando siamo salvati (Giovanni 3:3); anzi, più che entriamo, veniamo portati, come anche illustra l’immagine in questo passaggio dove l’uomo è condotto alla locanda dalla cavalcatura del Samaritano. E una volta dentro, Egli si prende cura di noi.

Il giorno dopo, prima di partire, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. (Luca 10:35 NR2006)

Il denario romano era una moneta d’argento. Questa sua caratteristica lo rende un simbolo piuttosto rilevante. Infatti, impariamo dal Vecchio Testamento che una moneta d’argento è la moneta usata per il riscatto (Esodo 30:12-15; Levitico 27:1-7).

Così come il Samaritano ha trovato l’uomo quasi morto, così il Signore Gesù ha trovato noi sulla via della morte spirituale a causa del nostro peccato. Ma Egli è venuto da noi e senza richiedere nulla, ha pagato il prezzo che noi non potevamo pagare, il debito che noi dovevamo a Dio; quel prezzo ci ha riscattati e portati nel Regno (la locanda) dove l’oste (Dio) si prende cura di noi.

Nella Bibbia leggiamo che un denario era probabilmente una paga equa per un giorno di lavoro nei campi (Matteo 20:2). Da ricerche storiche apprendiamo anche che il salario mensile di un legionario romano era di 25 denari. Pertanto, i due denari della parabola non sono una piccola somma. Alcuni dicono che quei due denari sarebbero stati sufficienti, a quel tempo, per pagare un alloggio in una locanda per due mesi.

La somma è dunque un simbolo del prezzo pagato da Gesù al posto nostro. Ma non è tutto. Se leggiamo accuratamente, vedremo che il prezzo pagato è molto più alto di questo primo pagamento. Notiamo infatti che il Samaritano promette al locandiere di pagare qualsiasi altra spesa aggiuntiva per conto dell’uomo. Se rimaniamo coerenti col nostro simbolismo, vediamo che il Signore ha pagato tutto e assunto piena responsabilità anche sui peccati che pur commettiamo dopo che Egli ci salva (1 Giovanni 1:8,10) (senza ovviamente dimenticare che siamo chiamati a una vita santa (Romani 12:1; 1 Corinzi 6), della quale siamo resi capaci dall’opera di santificazione (Ebrei 10:14)). E ancora una volta, non c’è alcuna condizione posta.

Tutto ciò si collega perfettamente con le ultime parole di Gesù sulla croce: «È compiuto!»; ancor di più, con la singola parola greca che noi traduciamo «È compiuto!»: tetelestai, che letteralmente significa «completare, compiere, porre fine». Questa parola, inserita nel suo contesto storico, ci fornisce un incredibile prospettiva: ai tempi della Palestina Romana, questa parola veniva usata per indicare che un debito era stato totalmente estinto. La stessa parola sarebbe stata usata da un giudice per dichiarare una pena completamente espiata. Caso chiuso, da riaprirsi mai più. Tale parola veniva anche scritta su una fattura pagata, oppure sul documento che un ex carcerato portava con sé come prova che aveva pagato il suo debito con la società ed evitare così di essere arrestato di nuovo per la stessa accusa.

Colossesi 2:13-14

Quando si osserva la Parabola del Buon Samaritano sotto questa luce, è facile vedere come essa ci comunica ciò che l’apostolo Paolo ci dice nella lettera ai Colossesi:

Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i peccati, avendo cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; (Colossesi 2:13-14 NR2006)

Lode a Dio nel nome del Signore Gesù Cristo, benedetto in eterno!

Crediti

Ispirato da uno studio biblico di Jack Kelley di GraceThruFaith.com.