È per grazia che siete stati salvati, mediante la fede

Mese: Dicembre 2015

Origine delle “razze”

Queste sono le famiglie dei figli di Noè, secondo le loro generazioni, nelle loro nazioni; da essi uscirono le nazioni che si sparsero sulla terra dopo il diluvio. (Genesi 10:32)

Questo è il verso conclusivo del decimo capitolo della Genesi, conosciuto come La tavola delle nazioni. Ci dice che tutte le nazioni del mondo si sono formate dai discendenti di Noè. La base di questa divisione a livello mondiale era la loro dispersione a Babele (Genesi 11:9), «ciascuno secondo la propria lingua, secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni» (Genesi 10:5; vedi anche Genesi 10:20,31). Per evitare che qualcuno pensi che questo elenco di nazioni sia semplicemente folklore, ci basta ricordare che William F. Albright, probabilmente il più grande archeologo del XX secolo, lo ha definito «un documento sorprendentemente accurato». Molti etnologi parlano ancora di lingue e popoli iafetici, camitici e semitici.1

Ma per quanto riguarda l’origine delle “razze”? Cercare nella Bibbia è invano, perché né la parola né il concetto di “razza” compare nella Bibbia! Non esiste alcuna razza, tranne la razza umana! Il colore della pelle e altre caratteristiche presunte razziali sono semplici ricombinazioni di fattori genetici innati, originariamente creati in Adamo ed Eva per permettere lo sviluppo di diverse caratteristiche familiari nella razza umana, alla quale fu comandato di moltiplicarsi e riempire la terra (Genesi 1:28; 9:1).

“Razza” è rigorosamente un concetto evolutivo utilizzato da Darwin, Huxley, Haeckel, e gli altri evoluzionisti del XIX secolo per razionalizzare il loro razzismo. Ma da principio non fu così! «Dio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso; […] ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra» (Atti 17:24,26).


Liberalmente tradotto e adattato da Origin of the races by Henry M. Morris III.

  1. Da Iafet, Cam e Sem, i tre figli di Noè. (Genesi 10:1) 

La ragione del Natale

Sono cresciuto a Napoli. Da bambino il Natale era…«i regali». I zampognari. I dolci, con paste reali, mustacciuoli, roccocò. Gli struffoli, i datteri, le noci. Fare l’albero all’Immacolata e fare il presepe, ma col bambin Gesù «coperto», perché, è chiaro, bisogna aspettare la mezzanotte del 25 per scoprirlo; nun è nnato ancora, mi par di sentire pure ora la voce di mio padre. Crescendo, si aggiunge l’attesa del cenone della vigilia. ‘A ‘nzalata ‘e rinforzo. Il pranzare leggero il 24 dicembre, solo con una fetta di pizza di scarole. Le candele profumate e quelle mangiafumo. La frittura di pesce e baccalà, e il balcone spalancato per farne uscire la puzza. Mamma relegata in cucina, a volte con qualche zia. Le bancarelle di botti di contrabbando, che all’epoca spuntavano già a Settembre. Un po’ più avanti negli anni e si aggiungono le strade affollate, il consumismo, le decorazioni cittadine. E San Gregorio Armeno: presepi d’artigianato puro che rappresentano paesi interi, comunità, gente d’ogni specie, personaggi famosi. E Betlemme che talvolta lascia spazio a Napoli col Vesuvio, perché si sa, per il Napoletano, Napoli è il centro del mondo. E poi c’era la messa di Natale, finché i miei riuscirono ad obbligarmi. Tanta, tanta tradizione. Alla quale si aggiungeva cultura d’oltreoceano che poco c’entrava con tutto il resto. In televisione dozzine di film hollywoodiani. La favola di Babbo Natale. E il classico ripetuto ad nauseam: «a Natale sono tutti più buoni». Ma perché solo a Natale poi? La gente non può essere buona tutto l’anno? (No, non può (Romani 3:10-12), ora lo so. Ma all’epoca no).

La purezza dei santi in Cristo

In tutta la Bibbia, solo i santi che appartengono alla Chiesa vengono detti «in Cristo». Questi santi godono di benedizioni spirituali a dir poco indescrivibili. Difatti, la Scrittura dice che Dio «ci ha benedetti di ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo» (Efesini 1:3). Ogni benedizione. Nessuna esclusa.

Una delle realtà più sconvolgenti (e difatti anche tra le più incomprese e spesso intellettualmente rifiutata nella Chiesa) è che il credente in Cristo è irreprensibile (ovvero, perfettamente giusto) agli occhi di Dio.

Ciò è deducibile da versi chiarissimi nella Bibbia:

  1. Siamo stati dichiarati giusti per fede (Romani 5:1);
  2. Possediamo la giustizia (perfetta) di Dio (2 Corinzi 5:21);
  3. Siamo, come detto, irreprensibili agli occhi di Dio (Colossesi 1:21-22; Efesini 5:25-27);
  4. Il peccato che vive nella nostra carne viene ora visto separatamente dal «nuovo io» derivato dalla nuova nascita (Romani 7:15-25);
  5. Possiamo aver fiducia (e non paura, cfr. 1 Giovanni 4:18) nel giorno del giudizio, perché come è Gesù così siamo noi in questo mondo (1 Giovanni 4:17). E com’è Gesù? Senza peccato (Ebrei 4:15).1

Tutto ciò c’è stato concesso da una transazione di giustificazione (1 Corinzi 6:11) e garantito nel momento in cui abbiamo creduto il vangelo (Efesini 1:13-14).

Lode al Dio eterno, al nostro Signore Gesù Cristo.


  1. Questo è perfettamente consistente con il fatto che il non credente è in Adamo e quindi è come lui, cioè peccatore, pertanto morto perché il salario del peccato è la morte (Romani 6:23). Mentre il credente è come Cristo, senza peccato, quindi vivo. Come è scritto: «Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati» (1 Corinzi 15:22); e ancora «Così anche sta scritto: «Il primo uomo, Adamo, divenne anima vivente»; l’ultimo Adamo è spirito vivificante» (1 Corinzi 15:45) 

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